L’Astrologia a servizio del Magus

Il 1486 fu l’anno in cui vide la luce Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim. Nel panorama tedesco tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500 egli si distinse per essere uno dei principali pensatori e operanti in quel campo che già in Italia aveva avuto esponenti in Marsilio Ficino e Pietro Pomponazzi nonché, a suo modo, in Pico della Mirandola, ovvero l’ambito magico che faceva confluire nella magia naturalis i concetti e le potenzialità alla base dell’uomo per una realizzazione del suo essere consona e consapevole rispetto al mondo circostante. In effetti il periodo rinascimentale in Italia, Francia e Germania vede nel legame tra ermetismo e scienza un percorso considerevole che si sarebbe sviluppato in correnti non sempre concordi tra loro ma tutte a fondamento del pensiero moderno. Tra le tematiche centrali erano la libertà dell’uomo rispetto al cosmo e la fattualità operativa attraverso cui lo stesso avrebbe potuto detenere la facoltà di intervenire nei suoi casi e in quelli del mondo.

Allievo, similmente a Paracelso, dell’umanista ed esoterista Giovanni Tritemio, Enrico Cornelia Agrippa inizia
a scrivere la sua opera più importante nel 1510: il De Occulta Philosophia, un trattato sulla magia considerato fino ai giorni nostri una delle opere fondamentali in ambito esoterico. Nel testo l’autore individua e formula la strada di osservazione, studio e pratica dell’ecce homo o magus, intendendo con ciò l’uomo dedito alla scienza suprema che volge ad attuare in senso pratico i saperi teorici. Il fondamento della magia in Agrippa si basa su una visione animata e vivente delle cose che il magus apprende attraverso un’osservazione qualitativa e non quantitativa. Per compiere la sua opera, dunque, egli deve avere accesso  alla simpatia cosmica, secondo la quale la concatenazione dei mondi avviene attraverso elementi fondanti
che si ripetono creando continuità e consequenzialità. Non a caso così troviamo scritto nel De Occulta
Philosophia:

“Il mago deve risalire la catena delle cose, come uno strumento musicale”

In questo si esplica la funzione di magus come homo universalis: l’uomo che studia, conosce ed agisce su ciò che in natura appare disunito e che invece fa parte di una serie di immagini risalenti a un archetipo primo in grado di conferire loro una particolare vibrazione magica.

Il volume si divide in tre parti: Magia Naturale, Magia Celeste e Magia Cerimoniale. La suddivisione tripartita indica le tappe fondamentali del percorso magico, che prende avvio dalla conoscenza del mondo naturale o elementare, cioè quello costituito dai quattro elementi e che si manifesta nei corpi terrestri; la seconda sezione si occupa del mondo celeste, ovvero dei pianeti e delle stelle fisse che influiscono sul piano precedentemente detto; infine la Magia Cerimoniale afferisce al campo del mondo intellettuale dove si realizza appieno la religio operante attraverso la mens.

Ciò che tratteremo più approfonditamente in questo articolo sarà il secondo libro che Agrippa intitola appunto Magia celeste o Matematica, tenendo però sempre conto che le tre ripartizioni di magia fisica, astrologica e liturgica si richiamano costantemente attraverso il meccanismo delle corrispondenze.

Dalla Magia celeste si ricavano i principi astrologici utili al magus. Essa infatti tratta il piano astrale  attraverso lo studio astronomico delle sfere e degli astri. L’Astrologia è in Agrippa il piano intermedio attraverso cui il mondo elementare e quello intellettuale possono comunicare e trovare continuità. Dai corpi celesti, intermediari della dimensione intellettuale, derivano le virtutes: esse si diffondono attraverso i raggi delle stelle disegnando la loro segnatura nel mondo naturale. In funzione di ciò nel De Occulta Philosophia non si riscontra un’assolutizzazione dell’Astrologia, che invece è vista come porta di accesso per l’ultimo grado di magia. In questo passaggio risiede un’imprescindibile teoria, alla base dell’opera di Agrippa: l’importanza del libero arbitrio che è dignitas omnis e si pone al di sopra di tutto, poiché la mens è al di sopra della stessa sfera cosmica.

Ecco che l’Astrologia assume il suo ruolo psicopompo, in grado di far trasmigrare le vibrazioni dall’alto al basso e di poterle comprendere nel senso opposto. Il principio alchemico è quello del “Come in Cielo così in Terra”, secondo cui Agrippa interpone uno strato necessario alla realizzazione dell’opera ed è proprio la struttura e la dinamica del mondo celeste. Per questi motivi il magus non può, ma deve assolutamente esercitare la conoscenza degli astri e dei pianeti per poter apprendere in modo esaustivo il progetto archetipico che permea tutto il mondo attorno a sé. E ancora più, egli deve attenersi al cielo per operare in accordo con le vibrazioni necessarie al compimento delle sue intenzioni:

“(…) Per eccellere è indispensabile esser valenti in Astrologia, come una chiave è indispensabile per aprire
un uscio chiuso. Tutte le specie di divinazione hanno così le loro radici e fondamenta nell’Astrologia e poco o
nulla possono dare senza di essa. (…) E sia che il fisionomista consideri il corpo, la faccia o la fronte o la
mano di alcuno, sia che un indovino voglia scoprire il significato d’un sogno o di un presagio, occorrerà pur
sempre prendere l’aspetto del Cielo e interrogarlo per formulare e che la conoscenza delle cose esattamente significate sia tratta per congettura delle similitudini celesti”.

 

A conferma dell’importanza della disciplina matematica, a sostegno di ogni trattazione astrale, la Magia celeste si apre con una lunga dissertazione sulle qualità dei numeri. Il primo capitolo ha per titolo “Della importanza delle scienze matematiche e di parecchie operazioni che si compiono con il loro ausilio” e il secondo “Dei numeri, del loro potere e delle loro proprietà”. Da queste premesse inizia una mappatura qualitativa dei numeri volta a spiegare come le corrispondenze agiscano dal mondo archetipico a quello elementare attraverso le scale matematiche. Ecco l’esempio della scala del Settenario, ovvero di tutto ciò che dal mondo divino a quello inferiore porta l’energia del numero sette:


In modo chiaro la tabella espone i piani di influenza, ponendo l’astrologia né come partenza né come fine, ma come strumento di passaggio da un mondo all’altro. A tal proposito Agrippa afferma che il magus non debba soffermarsi soltanto sugli aspetti corporali degli elementi celesti, ma che invece egli debba affinare la tecnica di osservarne gli strati più perfetti, quelli che direttamente provengono dalla sfera dell’archetipo e che si manifestano sì, attraverso i corpi, ma non si esauriscono in essi:

“Volendo compiere opere meravigliose nelle cose di questa Terra, abbisogna dunque che l’anima nostra si
specchi nel suo principio, che solo può fortificarla e concederle il potere di agire su ogni grado a partire dal
primo autore. Pertanto, occorre contemplare piuttosto le anime delle stelle che i corpi, il mondo superceleste intellettuale a preferenza del mondo celeste corporale, poiché quello è il più nobile”.

Dopo le qualità dei numeri vengono esaminati gli accordi tra corpi geometrici e corpi celesti e ancora tra suoni e corpi celesti. Interessante, nello studio delle armonie musicali rispetto al piano astrale, l’esegesi mitologica proposta, secondo la quale le energie cosmogoniche racchiuse negli Dèi si tramandano nei modi musicali e da essi dipendono:

“(…) Melpomene e il Sole caratterizzano in modo indubbio il modo detto dorico, che viene quarto.
Erato dà al frigio la quinta corda e Marte insieme, che si compiace sempre nella lotta e mai nella pace.
Il lidio ha la modulazione di d’Euterpe e di Giove e con la sua dolcezza forma la sesta corda.
Saturno e Polimnia fanno vibrare la settima corda, da cui comincia il mixolidio.
L’hypermixolidio, nell’animare l’ottava corda, amica d’Urania, fa rotare i poli con arte”.

Si procede dunque ad indagare l’armonia dei corpi umani in accordo con gli astri e poi a esaminare pianeta per pianeta le immagini e i caratteri di individuale pertinenza, in modo che il magus possa non solo riconoscere le segnature celesti ma anche operarle di sua mano per richiamare le energie astrologiche. Agrippa sostiene infatti che la grandezza e la virtù dei corpi celesti sono tali che sia le cose naturali sia quelle artificiali, create ed esposte in modo rituale e corretto alle loro influenze, ricevono le impressioni dell’agente assorbendone e comunicandone il potere magico. Rispetto a questo vengono vagliati i momenti in cui gli influssi degli astri sono più efficaci e si danno gli elenchi delle immagini e dei caratteri da impiegare:

Delle immagini di Marte

“Nell’ora di Marte e nella sua ascendenza nel secondo aspetto dell’Ariete, su una pietra marziana, a
preferenza su un diamante, s’incideva un uomo armato cavalcante un leone. (…) Si asseriva che questa
immagine renda l’uomo così possente nel bene e nel male da esser temuto da tutti, dandogli la potenza

fascinatoria da paralizzare chiunque con lo sguardo incollerito. (…)”


Ugualmente si procede a indagare qualità, immagini e caratteri delle Stelle Fisse.

Particolare interesse viene dimostrato per la Luna, della quale si individuano non solo le specifiche sopra descritte, ma anche le sue case, che sono messe in elenco nel numero di ventotto. A ogni casa viene poi assegnata un’immagine esclusiva. Citando quasi testualmente lo stesso autore, il motivo di ciò risiede nella scienza degli antichi, anzi, più precisamente “dei dotti indiani e degli antichi astrologi” che in base al giro lunare scandito in ventotto giorni derivarono le molteplici virtù della Luna. Così, padroneggiando le immagini, i sigilli e i simulacri in accordo con il circolo lunare, gli antichi sapienti ebbero la facoltà di compiere opere meravigliose.

L’esattezza è per Agrippa una conditio sine qua non e viene ricalcata in diverse occasioni. Ad esempio, nelle appena citate case della Luna, riferendosi alle parole di un astronomo contemporaneo, egli individua il preciso passo di percorrenza in gradi, minuti e secondi. Questa esigenza di ricavare l’esatto come assoluto modus operandi si riscontra anche nel capitolo trentaquattro che ha per titolo “Del vero moto dei corpi celesti, che occorre rimarcare nell’ottava sfera, e della natura delle ore planetarie”. È in questo luogo che Agrippa sonda le questioni contemporanee riferite alla domificazione del quadro astrologico. In apertura vengono esposte i due fattori fondamentali che il magus deve osservare nel cielo: i moti delle stelle e i giorni e le ore sottomessi al loro domicilio. Contemporaneamente al movimento astrale, saranno da osservare gli ascendenti, i cardini e la posizione effettiva che gli astri occupano nell’ottava sfera. In seguito occorrerà indagare i tempi, al fine di ricavare le ore planetarie. Inizia qui una trattazione sulla suddivisione proposta dagli astrologi contemporanei, i quali prevedono il tempo sezionato in dodici parti uguali diurne e altrettante notturne. Il problema sollevato riguarda proprio il considerare l’uguaglianza o la disuguaglianza delle ore:

“Però alcuni non sono d’accordo, obiettando che l’intervallo tra il levare e il tramontare del Sole non va
diviso in parti eguali(…) perché le ore diurne e le notturne, ciascuna in particolare, sono diseguali tra loro.
(…) Come nelle ore artificiali, che sono sempre coeguali, le ascensioni di quindici gradi nell’equinozio
costituiscono un’ora artificiale, così anche nelle ore planetarie le ascensioni di quindici gradi nell’eclittica
formano un’ora planetaria, o ineguale, di cui occorre cercare e trovare la misura sulle tavole delle ascensioni oblique di ciascuna regione”.

Al di là delle conclusioni raggiunte, questo passo ci conferma che la concezione del processo conoscitivo e operante del magus non ha nulla a che vedere con l’approssimazione e anche la materia astrologica, quale strumento di accesso ai saperi primi da cui hanno origine le cose, non può essere trattata con superficialità, ma anzi esige estrema precisione e correttezza, nonché uno studio approfondito che non esula da un’apertura alle tematiche più scientifiche e contemporanee.

La fortuna del De Occulta Philosophia appare controversa e ancora oggi è oggetto di ricerca, soprattutto nel suo legame con l’autore. Nel 1529 Agrippa pubblica un trattato a titolo Declamatio de incertitudine et vanitate scientiarium atque artium, un’opera che sembra anche piuttosto apertamente contraddire tutto quello che fu il suo lavoro giovanile. Molti hanno inteso questo cambiamento d’opinione come una vera e propria inversione di marcia. L’autore appare infatti rinnegare il valore attribuito alla scienza e alle sue parti, tra cui anche quella astrologica. Altri studiosi hanno proposto una visione più diplomatica tra queste due fasi così diverse del pensiero di Agrippa. Questi in particolare affermano che la critica di Agrippa è rivolta soprattutto alla scienza deterministica e onnipotente che si vanta di poter conferire all’uomo risposte assolute e inconfutabili, cosa che già nel De Occulta Philosophia era in qualche modo già stato screditata, ponendo la mens al di sopra della stessa scienza. Questa tesi è avvalorata dal fatto che le due opere, il De Incertitudine e il De Occulta Philosophia vengono pubblicate negli stessi anni dall’autore.Il dibattito tra queste due interpretazioni è ancora in corso.

Indipendentemente dalle ricerche svolte sull’integrità o meno del pensiero di Agrippa, il De Occulta Philosophia resta ad oggi una pietra miliare nell’ambito della conoscenza ermetica, magica e astrologica. L’importanza di tale trattato e il suo punto di forza risiedono nel presentarsi come una rielaborazione metodologica di tutti i saperi pregressi, una vera e propria strada di evoluzione iniziatica fondata sull’integrazione di principi provenienti da diverse culture e diverse epoche.

BIBLIOGRAFIA

Agrippa e la sua magia secondo Arturo Reghini, a cura di Nicola Bizzi, Lorenzo di Chiara, Luca Valentini.

Edizioni Aurora Boreale

Enrico Cornelio Agrippa e la sua magia, Arturo Reghini. Tipheret

La Filosofia occulta o la Magia, Enrico Cornelio Agrippa. Edizioni Mediterranee Roma

Storia dell’Astrologia, dalle origini ai nostri giorni. Kocku Von Stuckrad. Mondadori

BIOGRAFIA

Irene Vergni nasce nel 1989 a Sansepolcro. Dottoressa in lettere, è attualmente iscritta alla scuola di Astrologia SAI (Scuola Astravidyā Internazionale) con sede a Perugia. Durante il percorso di studi ha conseguito la certificazione “Ethics Awarness” e la qualifica in “Consulting skills”. Svolge la professione di educatrice e conduce laboratori di scrittura per bambini, ragazzi e adulti.

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